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SocGen – Global Equity Market Arithmetic: tassi in calo, inflazione “sticky” e il ritorno dell’equity income

Articolo a cura di Salvatore Bilotta – sintesi e commento al report Société Générale Cross Asset Research, 1 settembre 2025


Premessa: mercati tra tassi in discesa e inflazione ostinata

Il 2025 è stato finora un anno di forti contrasti per i mercati azionari. Da un lato, le aspettative di tagli ai tassi negli Stati Uniti hanno alimentato l’appetito per il rischio, sostenendo indici come l’S&P 500 e gli emergenti. Dall’altro, l’inflazione rimane “sticky”, cioè difficile da riportare rapidamente verso l’obiettivo del 2%. Questo scenario mette gli investitori di fronte a una scelta delicata: puntare su titoli di crescita ciclica o cercare stabilità nell’equity income, ovvero azioni con dividendi solidi e sostenibili.

📊 Grafico chiave: Market performance YTD by region – Pag. 3

Mostra l’andamento dei principali indici azionari globali da inizio anno.
Mostra l’andamento dei principali indici azionari globali da inizio anno.

Value batte Growth, ma con sfumature regionali

Il mese di agosto ha confermato una tendenza interessante: i titoli value hanno ottenuto performance migliori rispetto ai titoli growth nella maggior parte delle aree geografiche. In fasi di incertezza, il value si comporta spesso come una sorta di “ancora”, perché si concentra su società solide, con multipli di mercato contenuti e fondamentali stabili. Non è una sorpresa, quindi, che in un contesto di inflazione ancora ostinata e tassi reali positivi, gli investitori abbiano preferito rifugiarsi in questo tipo di azioni.

Negli Stati Uniti, tuttavia, il quadro è stato diverso. Qui il rally di agosto è stato guidato dai titoli più volatili, spesso appartenenti al comparto tecnologico o a settori altamente ciclici. Si è trattato di un movimento trainato più dall’appetito speculativo e dal “momentum” che dai fondamentali. Al contrario, i titoli a bassa volatilità – quelli che in genere vengono acquistati come rifugio in tempi di incertezza – hanno avuto un rendimento quasi nullo da inizio anno.

A prima vista può sembrare un paradosso: se il mercato è volatile, perché i titoli difensivi non hanno attratto più capitali? La spiegazione sta nel contesto dei tassi di interesse ancora elevati. In una fase in cui obbligazioni e liquidità offrono rendimenti interessanti e relativamente sicuri, molti investitori hanno scelto di parcheggiare capitali lì, anziché pagare un premio per azioni a bassa volatilità. In altre parole, i bond hanno “rubato la scena” ai titoli difensivi dell’azionario.

Il risultato è una fotografia molto sfumata: da un lato, il value conferma la sua capacità di reggere meglio nei momenti difficili; dall’altro, il classico rifugio delle low-vol ha perso appeal, lasciando spazio a strategie più selettive e legate ai tassi di interesse. Per un investitore significa che il 2025 non è un anno in cui basti affidarsi alle etichette tradizionali (growth, value, low-vol), ma serve un’analisi più fine, capace di cogliere le rotazioni regionali e settoriali che stanno plasmando i mercati.


📊 Grafico chiave: Factor index performance (low vs high vol) – Pag. 4

Confronta i rendimenti dei titoli a bassa e ad alta volatilità. Segnala che le low-vol hanno deluso nel 2025, mentre i titoli più rischiosi hanno trainato i listini USA.
Confronta i rendimenti dei titoli a bassa e ad alta volatilità. Segnala che le low-vol hanno deluso nel 2025, mentre i titoli più rischiosi hanno trainato i listini USA.

Equity income: una soluzione per l’inflazione

Di fronte a un contesto in cui i tassi scendono lentamente ma l’inflazione resta “sticky”, cioè difficile da riportare rapidamente al target del 2%, Société Générale individua una strategia che può rappresentare una vera ancora di stabilità: l’equity income.

Con questo termine si indicano quelle strategie che puntano su azioni di società solide, caratterizzate da bilanci robusti, flussi di cassa stabili e, soprattutto, dividendi consistenti e sostenibili. Non si tratta quindi di inseguire solo la crescita del prezzo del titolo, ma di costruire rendimento attraverso la distribuzione periodica dei dividendi.

Un esempio concreto è l’indice SG Quality Income, creato da Société Générale, che seleziona titoli con dividendi mediamente superiori al 4% e aziende con fondamentali di qualità. Questo indice, negli ultimi mesi, ha sovraperformato altre strategie di rendimento, confermando come il mercato premi quelle società capaci non solo di remunerare gli azionisti oggi, ma anche di garantire stabilità e crescita nel tempo.

Il vantaggio dell’equity income non sta soltanto nel flusso cedolare immediato, ma anche nella capacità di offrire una sorta di protezione contro l’inflazione. A differenza delle obbligazioni, che hanno cedole fisse e soffrono quando i prezzi restano elevati, i dividendi possono crescere nel tempo. Storicamente, infatti, le aziende dell’universo “quality income” hanno mostrato una crescita media dei dividendi del 3–4% all’anno, allineandosi o persino superando l’andamento dell’inflazione.

In pratica, questo significa che mentre le obbligazioni rischiano di perdere potere d’acquisto in contesti inflattivi, le azioni ad alto dividendo tendono a mantenere o accrescere il valore reale del rendimento distribuito. Per un investitore che cerca stabilità, è un vantaggio decisivo: l’equity income si trasforma in un “porto sicuro” che combina rendimento, resilienza e protezione dall’erosione inflattiva.


📊 Grafico chiave: SG Quality Income vs MSCI World & other yield assets – Pag. 4

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Valutazioni e crescita per area geografica

Uno dei passaggi più rilevanti del report di Société Générale riguarda l’analisi delle valutazioni azionarie globali, misurate attraverso il rapporto prezzo/utili (P/E). Questo indicatore ci dice quanto gli investitori sono disposti a pagare oggi per un dollaro di utili futuri di un’azienda: più è alto, più il mercato è “caro”, più è basso, più appare “a sconto”.

A livello mondiale, il P/E stimato per il 2025 è di 20,3x, un valore superiore alla media storica di lungo periodo, segnalando che le azioni globali non sono a buon mercato. Tuttavia, la fotografia cambia radicalmente se si scende a livello regionale.

  • Stati Uniti: si confermano come il mercato più caro al mondo, con un P/E di 24,4x. Questo riflette non solo la forza delle big tech, che continuano a macinare utili, ma anche la disponibilità degli investitori a pagare un premio per la stabilità e la leadership americana nei settori più innovativi. Tuttavia, questo livello elevato rende l’azionario USA più vulnerabile in caso di delusione sugli utili o cambiamento di scenario macro.

  • Europa: presenta valutazioni molto più contenute, con un P/E di 15,4x. È un mercato che appare “a sconto” rispetto agli Stati Uniti e che offre un margine di sicurezza maggiore per chi cerca valore. Il problema, però, è che questa convenienza è legata a una minore crescita attesa degli utili e a un contesto economico più fragile, con settori come auto e real estate che faticano.

  • Mercati emergenti: qui la situazione è opposta. I multipli non sono bassissimi, ma quello che attrae è la crescita attesa degli utili, stimata a +11% nel 2025 e +14% nel 2026, la più alta tra tutte le aree. Questo potenziale, però, si accompagna a rischi strutturali maggiori: instabilità politica, volatilità valutaria e dipendenza dalle materie prime. In altre parole, i mercati emergenti offrono grandi opportunità, ma con un livello di rischio superiore.

Messa insieme, questa analisi ci dice che l’azionario globale nel suo complesso appare caro rispetto alle medie storiche, ma la realtà è fatta di forti differenze regionali. Chi investe deve quindi andare oltre i numeri globali e valutare attentamente dove allocare il capitale: gli Stati Uniti offrono leadership ma a caro prezzo, l’Europa valutazioni più convenienti ma con crescita limitata, mentre gli emergenti rappresentano il motore della crescita futura, con tutti i rischi che ne derivano.


📊 Grafico chiave: Market P/E ratio aggregates by region – Pag. 6

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Settori e dinamiche di utili

Un altro punto centrale del report Société Générale riguarda le prospettive di crescita degli utili per settore, che mostrano forti divergenze e richiedono un approccio molto selettivo da parte degli investitori.

Nei prossimi due anni, i comparti che appaiono più promettenti sono:

  • Tecnologia: resta il settore trainante, grazie alla continua espansione di cloud, intelligenza artificiale e semiconduttori. Le big tech americane in particolare continuano a generare utili record e margini elevati, sostenendo l’intero comparto. Inoltre, la tecnologia beneficia di multipli che, seppur elevati, trovano giustificazione nella capacità di crescere ben oltre la media di mercato.

  • Consumi discrezionali: includono settori come auto, lusso e intrattenimento. Nonostante la debolezza della domanda in alcune aree, la ripresa dei consumi in Asia e il miglioramento del reddito disponibile in alcune fasce di popolazione stanno ridando slancio al comparto. Inoltre, la spinta dell’e-commerce e dell’innovazione nei beni di consumo mantiene alte le aspettative sugli utili.

  • Materiali di base: tornano a giocare un ruolo importante in un mondo che punta a transizione energetica e infrastrutture. La domanda di rame, litio e altre materie prime strategiche resta elevata, sostenendo i margini delle società minerarie e dei produttori industriali.

All’opposto, alcuni settori faticano ad adattarsi al contesto attuale:

  • Utilities: tradizionalmente viste come difensive, oggi sono penalizzate dall’inflazione elevata e dai costi di finanziamento più alti. L’aumento dei tassi riduce infatti l’appeal di aziende che vivono di flussi stabili ma difficilmente in crescita.

  • Consumer staples (beni di prima necessità): anch’essi considerati rifugi nei momenti di incertezza, stanno soffrendo la compressione dei margini. I costi delle materie prime e della logistica restano elevati, mentre la possibilità di trasferire questi aumenti sui consumatori è sempre più limitata.

In sintesi, il messaggio del report è che i mercati non si muovono in modo uniforme: ci sono settori pronti a trainare la crescita degli utili e altri destinati a restare indietro. Per un investitore, significa che non basta più distinguere tra value e growth: serve guardare ai settori e alle dinamiche specifiche, perché sarà lì che si giocheranno le opportunità reali del 2025–2026.


📊 Grafico chiave: Global 2025–26 EPS growth by sector –

Indica le aspettative di crescita degli utili per settore. Tech, consumi discrezionali e materiali di base in testa; utilities e staples indietro.
Indica le aspettative di crescita degli utili per settore. Tech, consumi discrezionali e materiali di base in testa; utilities e staples indietro.

Stati Uniti: utili e margini

Il report Société Générale dedica particolare attenzione agli Stati Uniti, ancora oggi il mercato azionario più grande e influente al mondo. A prima vista, i dati sugli utili sembrano solidi: la crescita resta positiva e i listini continuano a beneficiare della spinta delle grandi società tecnologiche. Tuttavia, se si guarda più da vicino, emerge un quadro molto meno uniforme.

Gran parte della crescita degli utili statunitensi è infatti concentrata nelle “Magnificent Seven” – Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet, Meta, Tesla e Nvidia – che continuano a macinare profitti e a trainare gli indici principali. Ma se si escludono queste mega-cap dall’analisi, la traiettoria diventa decisamente più debole. In altre parole, il motore dell’S&P 500 è fortemente dipendente da un numero ristretto di aziende, lasciando il resto del mercato in condizioni molto meno brillanti.

Un segnale di questa fragilità arriva dal Russell 2000, l’indice delle small cap americane. Dopo il taglio dei tassi deciso dalla Federal Reserve a luglio, l’indice ha mostrato un rimbalzo significativo: le piccole imprese sono molto sensibili al costo del credito, quindi beneficiano direttamente di politiche monetarie più accomodanti. Tuttavia, nonostante il recupero, il quadro rimane fragile: i margini di molte di queste aziende sono compressi da costi elevati e da una domanda interna non particolarmente dinamica.

Altro elemento da considerare è la diffusione degli utili, ossia la percentuale di aziende che riescono a battere le stime degli analisti. Negli ultimi trimestri, molte società hanno sorpreso al ribasso, soprattutto sul fronte dei margini e delle vendite. Questo suggerisce che, al di là della brillantezza delle big tech, l’economia reale americana stia affrontando difficoltà crescenti, legate sia all’inflazione dei costi che a un consumatore meno forte di quanto si sperasse.

Il messaggio di fondo è chiaro: il mercato azionario USA rimane in apparenza robusto, ma la sua solidità è meno diffusa di quanto sembri. Senza il contributo delle big tech, la crescita sarebbe molto più debole, e la resilienza dell’economia reale resta tutta da verificare nei prossimi trimestri.


📊 Grafico chiave: US consensus quarterly earnings – S&P500, Russell, Nasdaq – Pag. 15

Mostra le stime sugli utili trimestrali negli USA. Evidenzia la forza delle big tech ma anche la debolezza delle small cap e delle aziende al di fuori delle Magnificent Seven.
Mostra le stime sugli utili trimestrali negli USA. Evidenzia la forza delle big tech ma anche la debolezza delle small cap e delle aziende al di fuori delle Magnificent Seven.

Europa: revisioni sugli utili più deboli

Il panorama europeo si presenta con sfide molto diverse rispetto a quello americano. Se negli Stati Uniti la crescita è trainata da poche grandi aziende tecnologiche, in Europa il problema è un altro: la debolezza diffusa degli utili. Negli ultimi tre mesi, infatti, le stime sugli utili per il 2025–26 sono state oggetto di revisioni prevalentemente negative, riflettendo un contesto macroeconomico fragile e più esposto alle incertezze globali.

I tagli più marcati hanno riguardato settori chiave per l’economia del continente come automotive, media e real estate. L’auto, uno dei pilastri industriali europei, continua a soffrire l’impatto della transizione verso l’elettrico, che richiede investimenti enormi e margini più sottili. Il settore media risente della contrazione della spesa pubblicitaria e della frammentazione digitale, mentre l’immobiliare paga tassi di interesse ancora elevati che frenano investimenti e nuove costruzioni.

In questo scenario, la narrativa europea appare meno orientata alla crescita e più centrata su altri fattori di attrattiva: valutazioni contenute e dividendi generosi. Con un P/E medio ben al di sotto di quello statunitense, l’Europa offre un “punto d’ingresso” più conveniente per chi cerca esposizione azionaria a prezzi ragionevoli. Inoltre, molte società europee hanno una lunga tradizione di distribuzione di dividendi elevati e sostenibili, che diventano particolarmente interessanti in un contesto di inflazione persistente e rendimenti obbligazionari in calo.

In altre parole, l’appeal dell’Europa oggi non risiede tanto nella prospettiva di un’accelerazione degli utili, quanto nella possibilità di combinare valutazioni più basse e rendimenti da dividendo sopra la media. Per gli investitori a caccia di stabilità e income, il Vecchio Continente resta dunque un’area da non sottovalutare, nonostante le difficoltà strutturali che ne frenano la crescita.


📊 Grafico chiave: Europe earnings consensus changes (3m) – Pag. 13

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Fattori quantitativi: chi vince nel 2025

Il report Société Générale dedica ampio spazio anche ai cosiddetti fattori quantitativi, ovvero quelle caratteristiche misurabili delle azioni (come la valutazione, la crescita degli utili, la volatilità o il livello di indebitamento) che vengono utilizzate dagli investitori per costruire portafogli e strategie. Analizzando l’andamento year-to-date, emergono tendenze molto nette che aiutano a capire quali stili di investimento stanno funzionando nel 2025.

A guidare la classifica ci sono le strategie basate su value e yield. In altre parole, gli investitori hanno premiato le società che scambiano a multipli più contenuti rispetto alla media (value) e quelle che garantiscono un rendimento da dividendi interessante e sostenibile (yield). Questa dinamica è stata particolarmente evidente in Europa e nei mercati emergenti, dove le valutazioni erano partite da livelli più bassi e dove il dividendo rappresenta da sempre una componente importante del ritorno complessivo per gli investitori.

Al contrario, i titoli identificati dal fattore low growth – cioè le società con bassa crescita degli utili – hanno faticato, perché in un contesto di incertezza gli investitori sono disposti a pagare solo per crescita di qualità e non per aziende che non offrono prospettive chiare. Ancora peggio è andata ai titoli con alta leva finanziaria, ossia quelli che portano in bilancio debiti consistenti. Con tassi di interesse ancora elevati e costi di finanziamento difficili da sostenere, questi titoli sono stati penalizzati, perché percepiti come più vulnerabili in caso di peggioramento del contesto macro.

Il quadro complessivo ci dice che, anche in un anno dominato dall’incertezza, il mercato non si è rifugiato ciecamente nei titoli difensivi, ma ha cercato un compromesso tra valutazioni attraenti, bilanci solidi e capacità di generare rendimento stabile. È la conferma che, almeno per il 2025, gli investitori preferiscono privilegiare aziende che possano offrire certezze tangibili – multipli bassi e dividendi – piuttosto che scommettere su storie speculative o su società troppo indebitate.


📊 Grafico chiave: Year-to-date factor performance – Long vs Universe – Pag. 23

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Conclusione operativa

Il quadro che emerge dal report di Société Générale è piuttosto nitido: i mercati azionari globali si muovono all’interno di un equilibrio fragile, dove forze contrastanti si tengono in bilico. Da un lato, l’aspettativa di tassi di interesse più bassi continua a sostenere l’appetito per il rischio: ogni segnale di allentamento da parte della Federal Reserve o della BCE viene accolto con entusiasmo dagli investitori, che vedono nell’abbassamento del costo del denaro un incentivo a puntare di nuovo sulle azioni.

Dall’altro, però, la realtà dell’inflazione ostinata (“sticky”) impone cautela. Finché i prezzi non torneranno in modo convincente verso l’obiettivo del 2%, le banche centrali avranno margini di manovra ridotti e saranno restie ad adottare politiche monetarie troppo accomodanti. Questo crea un ambiente in cui l’ottimismo dei mercati convive con una costante fonte di incertezza.

In questo contesto così complesso, l’equity income emerge come una strategia di grande attualità. Puntare su azioni di società solide, capaci di distribuire dividendi elevati e sostenibili, significa avere in portafoglio titoli che offrono rendimento immediato, stabilità nei flussi di cassa e una certa forma di protezione contro l’inflazione. Infatti, mentre un’obbligazione paga una cedola fissa che perde valore reale se l’inflazione resta alta, i dividendi possono crescere nel tempo, seguendo l’andamento dei prezzi e salvaguardando il potere d’acquisto degli investitori.

In altre parole, l’equity income rappresenta una sorta di porto sicuro in mezzo alle onde: non elimina del tutto il rischio, ma fornisce una base solida su cui costruire un portafoglio in un 2025 pieno di variabili incerte, dai dati macro alle tensioni geopolitiche, dalle divergenze settoriali alle differenze regionali. Per chi cerca un equilibrio tra rendimento e protezione, questa strategia appare oggi una delle opzioni più convincenti.


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Cosa significa “equity income” e come funziona


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