Stili di Investimento: Value, Growth, Momentum e Quality
- Salvatore Bilotta
- 19 ago
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 23 ago
Quattro approcci diversi per capire e cavalcare i mercati finanziari
Nel mondo degli investimenti non esiste una sola strada da percorrere: ogni investitore sceglie il proprio stile in base a obiettivi, orizzonte temporale, propensione al rischio e visione dei mercati. Tra i principali approcci troviamo Value, Growth, Momentum e Quality, ognuno con caratteristiche uniche che lo rendono più adatto a certi contesti economici e cicli di mercato.
. Tra i principali approcci troviamo Value, Growth, Momentum e Quality, ognuno con caratteristiche uniche che lo rendono più adatto a certi contesti economici e cicli di mercato.

Value Investing: andare a caccia di occasioni
Il Value è uno degli stili più antichi e affascinanti della storia della finanza. Nato con Benjamin Graham – il “padre” dell’analisi fondamentale – e reso celebre dal suo allievo Warren Buffett, significa andare a caccia di titoli quotati “a sconto”, ovvero società che sul mercato valgono meno del loro reale potenziale.
Un investitore value ragiona così: “Se compro oggi un’azienda solida ma sottovalutata, sto acquistando 1 euro a 70 centesimi”.Per capire se un titolo è davvero a buon prezzo, si usano indicatori come:
P/E (Price/Earnings): prezzo rispetto agli utili;
P/BV (Price/Book Value): prezzo rispetto al valore contabile;
Dividend Yield: la capacità di distribuire utili sotto forma di dividendi.
Prendiamo un esempio concreto. Immagina una grande banca che attraversa una fase complicata per via di una crisi temporanea: il suo titolo scambia a un P/BV di 0,6. Significa che il mercato le assegna un valore del 40% più basso rispetto al suo patrimonio netto reale. Per un investitore value questo è un segnale: il prezzo riflette la paura del momento, non la forza di lungo periodo dell’istituto.
Questo approccio ha dato i suoi frutti soprattutto nei periodi di grande volatilità. Durante la crisi del 2008, ad esempio, molti colossi bancari e assicurativi vennero venduti in massa, facendo crollare i prezzi. Gli investitori value che in quel momento hanno avuto il coraggio di comprare, hanno visto negli anni successivi rendimenti enormi, man mano che il mercato ha “riscoperto” il vero valore di quelle aziende.
Il Value Investing, quindi, non è semplicemente acquistare titoli “economici”: è saper distinguere tra un’azienda davvero in difficoltà e un’azienda solida che il mercato sta momentaneamente sottovalutando. È un approccio che richiede pazienza, sangue freddo e la capacità di andare controcorrente, perché spesso si compra quando tutti vendono.
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Growth Investing: puntare sulla prossima big tech
Il Growth Investing guarda al domani. Qui gli investitori non si preoccupano troppo dei multipli elevati: ciò che conta è il potenziale di crescita dei ricavi e degli utili.
Società come Amazon, Tesla o Netflix ne sono l’esempio più lampante. Per anni hanno avuto P/E elevatissimi o addirittura utili negativi, ma gli investitori growth hanno scommesso sulla loro capacità di conquistare mercati, innovare e crescere in maniera esponenziale.
Questo approccio funziona meglio in contesti di tassi bassi e abbondante liquidità, quando il valore del denaro nel tempo riduce il peso delle valutazioni correnti. Il rischio è pagare troppo per una crescita che magari non si realizzerà: distinguere tra vere opportunità e mode passeggere è la sfida principale del growth investor.
Gli investitori growth cercano società con forti prospettive di crescita, anche a costo di pagare multipli elevati. Qui non conta tanto quanto guadagna l’azienda oggi, ma quanto potrebbe guadagnare domani.
Apple, Amazon, Tesla: tutti esempi di titoli che, prima di diventare giganti, venivano acquistati a multipli apparentemente “folli”. Chi ha creduto nella loro crescita ha visto moltiplicare il proprio capitale.
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Momentum Investing: seguire l’onda del mercato
Il Momentum parte da un’idea semplice: i titoli che salgono tendono a continuare a salire, almeno per un po’, e lo stesso vale al ribasso. Qui l’investitore guarda al comportamento del mercato più che ai fondamentali.
Un esempio recente è stato il boom dei titoli legati alle energie rinnovabili nel 2020: spinti dal sentiment positivo e dalle politiche verdi, hanno registrato rally impressionanti. Gli investitori momentum, sfruttando medie mobili, breakout o indicatori di forza relativa, hanno cavalcato l’onda.
Naturalmente, il rischio è che l’onda si infranga all’improvviso. Per questo le strategie momentum richiedono disciplina e stop-loss precisi. È uno stile molto dinamico, adatto a chi ha orizzonti temporali brevi e grande attenzione ai movimenti di mercato.
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Quality Investing: dormire sonni tranquilli
Lo stile Quality è scelto da chi vuole dormire sonni tranquilli. Significa puntare su aziende con bilanci solidi, margini stabili, bassa leva finanziaria e un track record affidabile.
Pensiamo a realtà come Nestlé, Johnson & Johnson o Procter & Gamble: non promettono crescite esplosive, ma resistono meglio nelle crisi, distribuiscono dividendi costanti e proteggono il capitale nel lungo periodo.
Questo approccio brilla in contesti di incertezza o rallentamento economico, quando la stabilità diventa più preziosa del potenziale di crescita. È molto apprezzato dai fondi pensione e dagli investitori di lungo periodo.
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Integrare gli stili: il mix giusto
Nella pratica, pochi investitori si affidano a un solo stile. Un portafoglio equilibrato può contenere un po’ di growth per il futuro, un po’ di value per cogliere occasioni, quality per la stabilità e momentum per sfruttare i trend. È quello che fanno anche molti fondi multi-factor, che cercano di bilanciare rischi e opportunità.
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Come si comportano gli stili nei diversi cicli di mercato

Gli stili di investimento non vivono nel vuoto: la loro efficacia dipende molto dalla fase del ciclo economico. Immaginiamo quindi quattro portafogli ipotetici, ciascuno basato su uno stile, e vediamo come potrebbero reagire nei vari scenari macro.
Fase di ripresa (post-recessione): il terreno fertile del Value
Dopo una recessione o una crisi di mercato, lo scenario tipico è quello di prezzi depressi e valutazioni molto basse. In questi momenti di panico, spesso gli investitori vendono indiscriminatamente, buttando giù sia le aziende fragili sia quelle solide.
È proprio qui che il Value Investing trova la sua occasione. Un portafoglio orientato al value inizia a brillare perché riesce a comprare a prezzi molto scontati società con fondamentali robusti: banche, assicurazioni, industriali storici, aziende cicliche con capacità produttiva intatta.
Prendiamo l’esempio del 2009, in piena uscita dalla crisi finanziaria globale: titoli bancari come Citigroup o Bank of America venivano scambiati a multipli ridicoli rispetto al valore contabile. Allo stesso modo, grandi colossi industriali erano stati trascinati al ribasso insieme al resto del mercato. Gli investitori value che hanno saputo distinguere tra aziende destinate a fallire e aziende temporaneamente penalizzate hanno visto performance eccezionali negli anni successivi.
Un portafoglio costruito in ottica value in questa fase tende a sovraperformare perché il mercato “risveglia” lentamente l’attenzione per i fondamentali: utili, dividendi, asset tangibili. Inoltre, il ritorno della fiducia porta a un repricing generale dei titoli sottovalutati, che recuperano terreno più velocemente delle società già care.
In sintesi, la fase di ripresa è il momento in cui il Value Investing dimostra davvero la sua forza: comprare quando c’è sangue nelle strade, per rivendere quando la normalità ritorna.
Fase di espansione (crescita sostenuta, tassi bassi): l’età d’oro del Growth
Quando l’economia entra in fase di espansione, i consumi crescono, gli investimenti aumentano e la fiducia delle imprese e delle famiglie si rafforza. In questo contesto, le banche centrali spesso mantengono i tassi d’interesse bassi per sostenere la ripresa.
Per gli investitori growth è un terreno ideale: tassi bassi significano che il valore attuale dei flussi di cassa futuri è più alto. Tradotto: il mercato è disposto a pagare molto di più oggi per società che promettono utili crescenti nel futuro.
È qui che il Growth Investing brilla. Aziende tecnologiche e innovative – pensiamo a Amazon, Tesla, Netflix, Alphabet negli ultimi 15 anni – hanno spesso beneficiato enormemente di questi contesti. Pur avendo multipli elevati, anche P/E di 100 o più, gli investitori le comprano perché credono nella loro capacità di espandere quote di mercato e di trasformare interi settori.
Un portafoglio growth in questa fase può registrare rally impressionanti: le aspettative positive si traducono in flussi continui di capitale verso i titoli ad alta crescita. È un effetto a catena: più salgono, più attraggono attenzione, e più raccolgono capitali.
Ma c’è anche un rovescio della medaglia. In contesti di espansione, il rischio principale è quello delle bolle speculative: quando le valutazioni si spingono troppo oltre i fondamentali reali. La storia recente lo dimostra: la dot-com bubble a fine anni ‘90 vide società con business ancora immaturi valutate a multipli stratosferici, prima del successivo crollo.
In sintesi: nella fase di espansione il Growth Investing corre veloce, trascinato dall’ottimismo e dai tassi bassi. Ma l’investitore deve essere capace di distinguere tra società con un reale vantaggio competitivo e semplici “meteore” destinate a sgonfiarsi.
Fase di euforia (mercato toro maturo): il regno del Momentum
Quando un mercato toro entra nella sua fase matura, l’ottimismo diventa quasi euforia. Gli indici macinano record, le notizie sono tutte positive, gli investitori retail entrano in massa e il cosiddetto fear of missing out (FOMO) spinge i prezzi ancora più in alto.
È in questo scenario che il Momentum Investing trova la sua massima forza. L’idea di fondo è semplice: ciò che sta salendo continuerà a salire, almeno finché il flusso di capitale resta positivo. I portafogli momentum cavalcano i trend già in corso, sfruttando segnali tecnici come breakout, medie mobili crescenti o forza relativa rispetto al mercato.
Un esempio emblematico è stato il boom delle azioni tecnologiche tra il 2019 e il 2021, quando titoli come Tesla, Nvidia e Zoom hanno vissuto performance straordinarie, trainati da un’ondata di capitale e da aspettative altissime. Allo stesso modo, negli anni ‘90 la fase finale della bolla dot-com vide i titoli internet esplodere di valore in pochi mesi.
Il vantaggio di un portafoglio momentum in questa fase è evidente: può generare rendimenti eccezionali in poco tempo, agganciandosi alle mode e ai trend dominanti. Ma il rischio è altrettanto chiaro: quando l’euforia si spegne, il momentum si inverte rapidamente, spesso con cadute brusche. È per questo che i gestori momentum applicano regole rigide di stop-loss e gestione del rischio: senza disciplina, si rischia di restare con il cerino acceso in mano.
In sintesi, nella fase di euforia il Momentum Investing è come surfare un’onda gigante: finché regge, regala adrenalina e profitti, ma basta poco per perdere l’equilibrio e finire travolti.
Fase di rallentamento o recessione: il rifugio del Quality
Quando l’economia inizia a rallentare o entra in recessione, lo scenario cambia radicalmente: i consumi calano, le aziende riducono gli investimenti, la disoccupazione cresce e la fiducia dei mercati si incrina. In queste fasi l’investitore diventa molto più prudente e si orienta verso la protezione del capitale piuttosto che alla ricerca di crescita esplosiva.
È qui che entra in gioco il Quality Investing. Un portafoglio costruito con criteri di qualità tende a resistere meglio, perché privilegia aziende con caratteristiche difensive:
Bilanci solidi, poca esposizione al debito e liquidità abbondante.
Margini stabili, capaci di reggere anche in periodi di domanda debole.
Flussi di cassa prevedibili, che permettono di continuare a finanziare le operazioni.
Dividendi affidabili, che offrono agli investitori un ritorno anche quando i mercati azionari deludono.
Un esempio classico sono i settori come consumer staples (Procter & Gamble, Nestlé), sanità (Johnson & Johnson, Roche) e utilities: non crescono a doppia cifra, ma forniscono beni e servizi di cui c’è sempre bisogno, anche in periodi difficili. Durante la pandemia del 2020, ad esempio, molte aziende “quality” hanno contenuto le perdite meglio dei titoli ciclici e growth, offrendo stabilità ai portafogli.
Il rovescio della medaglia è che i portafogli orientati al quality non regalano performance spettacolari quando il mercato riparte: si muovono con maggiore lentezza e possono sembrare “noiosi” rispetto ai titoli growth o momentum. Ma proprio questa lentezza è la loro forza: riducono la volatilità, limitano i drawdown e mantengono più stabile il valore complessivo del portafoglio.
In sintesi: nelle fasi di recessione, il Quality Investing diventa un porto sicuro. Non è la strategia per arricchirsi velocemente, ma per sopravvivere con meno danni alle tempeste dei mercati, in attesa di tempi migliori.
La lezione è chiara: non esiste uno stile vincente in assoluto. Ogni portafoglio funziona meglio in certe fasi del ciclo economico e peggio in altre. Per questo molti investitori scelgono di combinare gli stili (approccio multi-factor), bilanciando rischio e rendimento lungo tutto il ciclo.
Glossario
P/E (Price/Earnings): rapporto prezzo/utili.
P/BV (Price/Book Value): rapporto prezzo/valore contabile.
Momentum: tendenza di un asset a mantenere la direzione del trend.
Qualità: solidità finanziaria e sostenibilità aziendale.
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